A belly full of wine - Romanzo

giovedì 31 gennaio 2013

You're always wearing jeans, except on Sunday...

Ho un’amica che si lamenta di avere nell’armadio vestiti tutti pressochè identici.
Più di un’amica, a pensarci bene.
Anche io, in effetti, ho affinato negli anni una singolare tendenza ad acquistare sempre le stesse cose. Ora, l’amica in questione, mi raccontava che ieri ha comprato un nuovo paio di scarpe: l’ennesimo tronchetto, stavolta blu. E io l’ho guardata storto, perchè la settimana scorsa le avevo impedito di comprare un paio di stivaletti alla caviglia, invitandola a riflettere su questa sua maniacale, insana propensione ad accumulare tronchetti. Che - per inciso - non rappresentano esattamente quel tipo di scarpa che sfina e va su tutto, proprio no.

In realtà, se ci penso bene, vivo ciclicamente periodi in cui non solo acquisto gli stessi modelli di scarpe-abiti-stivali-borse di tutta una vita ma vado volentieri di due in due. E ho notato che, da quando c’è lo Shogun, nella fretta da shopping zippato (tipo che ho mezz’ora per comprare qualcosa - qualunque cosa - e mi infilo in un camerino con le braccia cariche e la mente annebbiata) se provo un capo che mi piace ne prendo due - anche tre - di colori diversi. Golf, pantaloni, sciarpe (borse no, costano troppo). Ho il collo alto rosa a rombi verde e lo stesso blu a rombi arancio, il cardigan grigio e uguale quello nero e quello beige. A Londra mi sono superata comprando 4 paia di pantaloni identici: uno nero, uno verde militare, uno  giallo e uno  verde acqua (sì, verde acqua: era in saldo).

Mi sono appena resa conto che a questo punto il nostro ragionamento si scinde: da un lato possiamo continuare a scherzarci su, dall’altro - se mai il post lo leggesse uno psicoterapeuta - penso che avrebbe una sua propria, rilevante opinione in merito alla faccenda e, se crede, può condividerla. (cosa non si fa per un commento!)
 
Cmq, noi facciamo finta che non sia niente di grave ed esploriamo la vicenda a modo nostro.
Io vi chiedo: quante paia di stivali marroni col tacco basso o medio avete nella scarpiera? Perchè io, se dipendesse da me, ne comprerei uno ad ogni sortita in negozio di scarpe. Oppure, quante volte vi fermate davanti ad una vetrina ad esaminare tutti i colori e le varianti di prezzo dei berretti di cashemire? No, perchè, diciamolo: un berretto di caschemire è un berretto, punto. E una persona, nella vita, quanti berretti o zuccotti, o cappelli come vi pare, può voler accumulare? Ecco, perchè c’è un’altra mia amica che - fosse per lei - comprerebbe zuccotti a ripetizione. E il bello è che (fortunatamente per lei) nemmeno li usa!
 
Vi ricordate quel programma...Fantastico, forse, cmq un varietà del sabato sera che trasmettevano quando ero piccola. Ecco, a un certo punto, per un periodo, premiarono dei telespettatori che non so a che concorso avevano partecipato con la Standa. I vincitori, in pratica, avevano qualcosa come 10 minuti per entrare nel grande magazzino vuoto e riempire di merce quanti più carrelli possibile facendosi aiutare da un familiare. Tutto quello che arrivava con il carrello alla cassa, glielo regalavano. E mi ricordo queste scene deliranti per le corsie della Standa, con il parente che buttava roba nel carrello: interi stand di vestiti (tutti uguali, taglie diverse) prosciutti, tappeti, padelle...tutto il trasportabile! E poi la fila dei carrelli lanciati a velocità disperata verso il registratore di cassa. 
La cassiera batteva il totale, sorridente, orgogliosa e poi lo dichiarava: “Il signor Pinco Pallo si porta a casa unmilionecinquecentomila di spesa gratis!” E i vincitori, lì, esausti, soddisfatti che un po’ non ci potevano credere, un po’ rosicavano per lo stock di calze a compressione graduata che non erano proprio riusciti ad arraffare.

Non lo so, forse quei sabato sera in famiglia a guardare la tv hanno un po’ traumatizzato il kaiseki, tanto che tuttora - a volte - quando acquista un capo è tentata di dire alla commessa “me ne dia due...anzi tre!”. O forse è una mania che, chi più chi meno, coltiva nel profondo. Quelle psicosi da tempo di guerra mancato, un po’ come le scorte in cucina o le offerte al supermercato: c’è chi ne ignora l’esistenza e chi, come me, è capace di comprare 12 barattoli di ceci cotti al vapore, se sono in offerta speciale.  
E poi li nasconde in fondo in fondo alla dispensa per tirarli fuori nelle notti di luna piena...aùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùù!



PS Ovviamente, il titolo è una citazione: la canzone dei Beatles Don't ever change...enjoy!
 

lunedì 28 gennaio 2013

La negazione dell'organizzazione aziendale: Ryanair, un caso di studio

Lo so che il primo post dell’anno nuovo dovrebbe essere gioioso e benaugurale e so pure che sono 3 mesi che non scrivo e ci sono almeno una decina di argomenti sui quali potrei aggiornarvi (i viaggi, le evoluzioni yoga, il gatto vero che è arrivato...miao!) ma ora mi devo proprio sfogare e quindi non posso risparmiarmi una requisitoria contro la compagnia aerea più demmerda dell’universo. L’Alitalia? No, la Ryanair.

Ebbene, sì: anche il kaiseki c’è cascato. Non perchè fosse la prima volta che viaggiava con la Ryanair, ma perchè per la prima vota ha fatto i conti con la sua inesistente struttura organizzativa, un carrozzone di incompetenti, un sistema di procedure degne del più inveterato truffatore, appositamente pensato perchè il povero cristo che ce casca non ne esca vivo...
Ma andiamo con ordine: è successo che al Kaiseki hanno cancellato un volo.

Lo scorso venerdì 18-01 il Kaiseki, Mr P. e lo Shogun si sono imbarcati su un aereo per Londra, con la ferma intenzione di immergersi in un fine settimana di shopping saldereccio, accompagnato da un paio di sostanziose english breakfast. Portate anche quella povera creatura, con questo freddo?! Sì, mamma, portiamo anche la povera creatura che dici tu e che in realtà è un piccione viaggiatore che nemmeno Phileas Fogg e che - sia detto per inciso - si è divertito come un pazzo durante tutto il viaggio...incluso il suo allucinogeno finale.
Le previsioni meteo non promettevano niente di buono ma noi, per dirla alla giapponese, ci siamo voluti tirare una botta di culo (appunto) e siamo partiti nonostante i -9 gradi annunciati. Tra l'altro, quando siamo atterrati a Stansted, con 10 minuti di anticipo sull’orario stabilito ci siamo pure scambiati un ingenuo, esultante sguardo "hai visto?" (che tenerezza, col senno di poi...).
Questo post non è un resoconto del weekend che è stato comunque piacevole oltre che altamente spendereccio - semmai vi ammorberò in seguito con l'elenco degli acquisti - quindi mi concedo un letterario balzo in avanti e arrivo direttamente alla domenica sera. 

Saremmo dovuti rientrare a Roma con il volo delle 17.40 ma, in effetti, domenica è nevicato tutto il giorno e temevamo ritardi o peggio. Invece ci imbarcano regolarmente all’orario stabilito - e noi tutti contenti ci scambiamo la seconda occhiata "hai visto?". Sennonchè, invece di partire rimaniamo a illanguidire sull’aereo fermo per...tenetevi forte, 4 ore.
4 ore, capite? 4 ore sui sedily della Ryan sono tante...
Comunque, avevano scuse plausibili: all'inizio sembrava che fossimo in coda a 7 aerei che dovevano decollare prima, poi pareva dovessero sbrinare il ghiaccio dalle ali, poi è saltato fuori che la macchina per togliere il ghiaccio si era rotta e ne avevano una sola per rimuovere il ghiaccio da tutti gli aerei in coda e poi e poi...una chippenvald: quando abbiamo visto quelli del volo a fianco che scendevano, abbiamo capito che i giochi erano finiti. 

4 ore, e di tanto in tanto ci ricordavano che se per caso avessimo avuto bisogno di acqua o altri refreshments gli assistenti di volo sarebbero stati felici di aiutarci. A pagamento ovviamente. Quando gli abbiamo fatto notare che tenerci sequestrati senza cibo nè acqua suonava lievemente criminale, il capitano (lui medesimo si è voluto pronunciare) ha ritenuto di diffondere un messaggio, ad interfono unificati, dicendo che i generi di prima necessità non si potevano dare via gratis. Politica aziendale.
Insomma, poco prima delle 22.00 ci fanno sbarcare. Io vado a recuperare il bagaglio malauguratamente imbarcato (a pagamento) e Mr. P. e lo Shogun vanno a cercare di capire quale fosse il recovery plan immaginato dalla compagnia o dall’aeroporto. In giapponese: di che morte dovessimo morire.
Risposta (in merito al recovery plan): nessuno. 
Tradotto per un blog giapponese: seppuku (o harakiri, per i più tera tera).


Insomma,alle dieci di sera, con 2 trolley, una valigia, un passeggino, un bimbo di 3 anni, senza biglietto di rientro, senza prenotazioni, senza macchina, senza internet (ebbene, a stansted non funziona il wifi) l’unica informazione che la signora all’information desk dell’aeroporto ci ha fornito è stata che, essendo gli alberghi pieni, conveniva andare direttamente alle reception anzichè telefonare, tanto ai telefoni non rispondevano più.
Vi giuro, momenti di cupa disperazione come quelli vissuti domenica fanno riflettere su tante cose. So che, in fondo, quello che ci aveva portato a Londra era un motivo frivolo, qualcosa di molto lontano dalla necessità...addirittura un lusso! Eppure mi sono sentita sperduta e imbrogliata e abbandonata in un modo che mi ha veramente abbattuto. E se fossi stata sola con lo Shogun? E se non avessimo avuto una carta di credito? E se non fossimo stati in condizione di decidere di spendere x centinaia di euro in più senza la certezza che qualcuno ce li rendesse? 
Mr P. è andato a piedi in un grosso hotel di fianco all’aeroporto e si è messo in fila con altre 200 persone mentre dall’Italia cercavamo di farci prenotare una stanza su booking. Io e il micio, nella hall di Stansted, digiuni, vestiti come Armaduk, siamo rimasti a fare la guardia ai bagagli. Poco prima di mezzanotte ci danno una stanza (miracolo e canti angelici ma l'abbiamo pagata due volte perchè si sono presi le carte di credito di entrambi e ce l'hanno addebitata due volte...siamo in contenzioso) ceniamo, distrutti, nel bar dell’hotel (perchè, nel frattempo, il ristorante l’avevano chiuso), laviamo e mettiamo a nanna il micio e cerchiamo di capire quando, come e se saremmo riusciti a tornare a casa.
La Ryanair, nel frattempo, ci aveva mandato una mail con la comunicazion che - in effetti - ci avevano cancellato il volo e con 2 opzioni: chiedere il rimborso (no grazie) o riprenotare il primo volo utile (sì grazie). Purtroppo però, questa accidenti di prenotazione non si riusciva a fare online perchè disgraziatamente il sito della compagnia aerea più paracula del millennio si impallava all’ultimo passaggio. Adesso non vi sto a raccontare le acrobazie che abbiamo cercato di inventarci per risolvere la questione, prima di sprofondare nell’oblio del sonno (dal tentativo di ricomprare il biglietto, che improvvisamente costava 234 pound a testa! a quello di farci fare il cambio dall’Italia, a quello di contattare l’assurdamente costoso call center per l'assistenza speciale...). 
Alla fine niente e la mattina dopo alle 6.30 Mr P. si è rivestito ed è tornato all’aeroporto dove si è rimesso in fila con un milione di persone nella nostra situazione al desk Ryanair. Alle 9.30 mi chiama: i voli per Roma sono tutti pieni ma alle 13.30 c’è un volo per Perugia. Chiudiamo di corsa le valigie, paghiamo l’hotel (159 pound...x2!) e ci precipitiamo all’aeroporto dove avremmo dovuto stampare le carte d’imbarco alle colonnine automatiche. Errore: “non è ancora possibile stampare la carta d’imbarco, si prega di rivolgersi al personale per assistenza”. 
Ve lo posso di'? Mi sarei stupita del contrario. E poi...assistenza, che termine inappropriato da applicare all'odissea che stavamo vivendo...
Comunque, ci mettiamo in fila ai desk per il check in e vi lascio immaginare la marea di persone che avevamo davanti...Alla fine prendiamo il volo (miracolosamente richiamati in una fila per quei disgraziati che il volo lo stava perdendo), arriviamo a Perugia e da lì con una macchina fino a Ciampino per recuperare la nostra di macchina che nel frattempo sostava nel parcheggio a pagamento.

Tutto è bene quel che finisce bene? Non lo so, valutate voi, perchè io sto assistendo ad una tale, nutrita, serie di trucchetti, magagne e buchi nel sistema espressamente predisposti per sabotare il consumatore che sono sconvolta.
Alla modica cifra di 18 euro a testa, avevo stipulato 3 assicurazioni di viaggio. Ora, per inoltrare all’assicurazione la richiesta di rimborso c’è bisogno di un documento della compagnia aerea che attesti l’effettiva cancellazione del volo. In teoria questo documento lo avevano allegato alla mail con cui mi comunicavano che avrei dovuto rifare la prenotazione, in pratica il file risulta danneggiato e non si apre. Contatto il famoso call center a pagamento dove mi dicono che l’unico modo che ho è mandare un fax agli uffici centrali della Ryanair a Dublino. Il problema - uno dei molti problemi - è che io ho 31 giorni per inoltrare la richiesta di rimborso all’assicurazione e il numero di fax non risponde. Richiamo il call center a pagamento e, a pagamento, mi costringono per l’ennesima volta a rispondere alle domande di sicurezza (nome, indirizzo, indirizzo mail, codice di prenotazione...) per poi dirmi che il numero di fax è quello e che se ho problemi devo mandare la richiesta per posta ordinaria. Ma, scusi, ho 3 settimane per inoltrare la richiesta all’assicurazione, mi pare assurdo.
Risposta? Signora Kaiseki si calmi la procedura è questa e...attacca. Cioè, attacca capite? Nelu da Brasov o da dove cavolo rispondono 'sti call center, mi attacca in faccia!

Io, ora, ammetto di essere un filo sconvolta e infuriata. Ammetto pure che dopo mesi di silenzio questo post fiume magari non è quello che vi aspettavate. Quindi vi chiedo scusa e vi lascio con niente altro dell’invito a prendere atto della folle situazione di truffa legalizzata sia questa. Io ho viaggiato spesso con la Ryanair ma mi rendo conto di una cosa: di fronte ad una qualsiasi contingenza, il malcapitato passeggero è abbandonato a sè stesso e non c’è niente e nessuno a cui chiedere aiuto. Allora, se posso dare un consiglio, l’assicurazione tanto vale risparmiarsela: sono soldi buttati.

Very soon le foto di Sir Piumino dalle zampe bianche... 


"Quando partii per Londra, cominciava a farsi notte, mi rincantucciai nel vagone e mi misi ad assaporare quel grande pensiero che di là a poche ore sarei stato a Londra.—Londra!—Mi ripetevo questo nome, me lo facevo sonare nella mente con compiacenza, come si fa sonare sul tavolo una moneta d’oro.—Londra!—Provavo non so che gusto a dire a me stesso, come se non l’avessi saputo prima, che era una città spropositata, un mare magno, una babilonia, un caos, una cosa favolosa.—È la più grande città della terra! pensavo,—e in questo v’è qualcosa di assoluto, che in nessun’altra città si ritrova, perchè, se ve n’ha delle altre più belle, di quale si può dire:—È la più bella?
È un piacere nuovo quello di veder qualche cosa che, in un certo senso, occupi incontrastabilmente il supremo grado nel mondo; qualche cosa di là da cui non si può spingere il pensiero senza entrar nel regno dei sogni; qualche cosa dinanzi a cui potete dire:—Nessun uomo ha visto mai nulla di più grande!"
E. De Amicis, Ricordi di Londra
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