A belly full of wine - Romanzo

martedì 27 novembre 2012

Alti e bassi

Che Paese assurdo siamo. Per un mucchio di motivi e di certo questo non è il più serio però questa cosa la trovo emblematica: la discriminazione sull’altezza.
Vi riepilogo i fatti salienti: domenica mattina, sole, avevamo deciso di lasciare il gatto coi nonni per andare a farci una giocata nel verde ma il gatto in questione ha sfoderato le armi da gatto che gli sono proprie (occhio languido e voce suadente) e non ce la siamo sentita di lasciarlo. Conclusione: andiamo tutti al Bioparco.
Tutti sono: Kaiseki, Mr.P, Nonno, Nonna e Shogun. Arriviamo a Villa Borghese e prendiamo il ticket per la fila alle casse (aperte 2 su 7, 85 numeri prima di noi, tempo di attesa: mezz’ora, prezzo pagato per 4 biglietti interi 52 euro). Allora, al bioparco la determinazione della tariffa si basa sull’altezza, anziché sull’età: sotto il metro entri gratis, sopra il metro paghi.
Cioè a dire che se sei un bambino piccolo ma alto sei fregato. Il gatto è alto (non per merito del kaiseki) ma è pur sempre un bimbo di 3 anni e mezzo, con le stessissime esigenze/velleità di un bimbo di 3 anni e mezzo con 5 cm di meno. Orbene, mi voglio autodenunciare: è vero, il gatto supera il metro, sarà almeno 102-103 cm.
Forse pure 104!
Eppure io domenica il quinto biglietto non l’ho fatto.

Quindi siamo arrivati all’ingresso e l’addetta allo strappo del biglietto ci sorride. Poi guarda lo shogun. Poi guarda me e fa con aria fintamente simpatica “Ma questo bambino è alto meno di un metroooo?”, al che io con gli occhi fissi nei suoi e senza una piega rispondo “Sì!” (forse con un tono appena un po’ isterico).
Allora lei strappa i nostri biglietti e fa per lasciarci passare, poi ci ripensa. “Possiamo misurarlo?” “Certo!” e il micio si accomoda accanto al metro di legno anti-bambini-scrocconi.
C’è stato un momento in cui il mondo intorno si è congelato, un momento in cui il kaiseki ha spinto al massimo il carisma nel suo sguardo assassino e la bigliettaia ha combattuto una lotta silenziosa tra la consapevolezza di ciò che è folle e di ciò che è regola. Poi, tutto ha ripreso a girare. Lei ha abbassato lo sguardo e ha detto “Va bene, passate” e noi siamo entrati.

Siamo entrati in un Bioparco triste, trascurato, deprimente (vabbè, uno zoo è uno zoo) però, proprio, si vede che l’impegno è ridotto al minimo (ah, se tutti i bambini più alti di un metro pagassero...allora sì che sarebbe un posto curato!). Cmq non voglio entrare nel merito della visita perché oggi volevo raccontare l’esperienza ingresso però davvero mi sono interrogata sul senso sfocato di questa regola. Girovagando per Austria e Germania ho notato come, dai due adulti in su, abbiano questa bella tendenza a sfoderare il biglietto famiglia che, generalmente, include 2 pargoli. Che non è tanto una mossa antieconomica, perchè io mi chiedo: se 4 adulti + 1 marmocchio = 52 euro per il Bioparco, secondo voi 4 adulti - 1 marmocchio = quanti euro? Che dite, la avranno la licenza elementare i responsabili vendite della Fondazione Bioparco o hanno solo la laurea in economia?

E per concludere - oggi sono in vena di polemiche - vorrei tirare in ballo un (altro) argomento disgustoso (ma questo sul serio): le deiezioni canine.
Che novità! - penserete - però, lo stesso, voglio declinare questo tema altamente lurido per la città di Roma: uno sfacelo.
Ieri sera, mentre io e lo Shogun tornavamo dal supermercato carichi (cioè, io carica) di buste+ borsa+zainetto DRAGHIFORME, quasi sotto casa...zac: lui mette il piede sopra una cacca! Eccheccaxxx!!!!! (ululo tra me e me) ma dalla bocca mi esce solo un “Noooooooo! Mannaggia, amore! Struscia il piede per terra...”.
Ma capirai, hai voglia a strusciare: avete presente i chiodini sotto le adidas? Ecco, appunto.

Chi non ha figli, non può capire, credo. Ci ho riflettuto nei 25 minuti durante i quali ho cercato di pulire ‘sta merda con uno spazzolino da denti, un bicchiere d’acqua, una bottiglia di Lysoform, un giornale e due sacchetti di plastica al posto dei guanti. Cioè pensateci (ma anche no, lo capisco se è “no!”): chi non ha un lavabo sul terrazzo/balcone, come le pulisce le scarpe, se ha calpestato uno schifo di bisogno di cane?!
Vi dico solo che, alla fine, ero talmente disgustata che ho piazzato il gatto davanti agli zonzoli e mi sono buttata sotto la doccia con una bottiglia di disinfettante; i vestiti che avevo addosso li ho mandati in tintoria.
Esagero? Non credo. Ma voi lo sapete quanta sporcizia di questo genere c’è per strada a Roma? Sui marciapiedi, una profusione, nei parchi e nelle ville nemmeno ve lo racconto...anche se la peggiore di tutte (e l’ho dovuta fotografare: tranquilli, qui non la metto, voglio mandarla ad Alemanno con gli auguri di Natale) è stata una cacca sulla pedana dello scivolo di un micro parco giochi di un quartiere residenziale, accanto al capolinea di un autobus.
Cioè, sopra lo scivolo, capite?! In cima alla scala dello scivolo...la deiezione del cane volante!

E ora che ho denunciato questi due incresciosi episodi, vi chiedo: qualcuno di voi ancora pensa che vivere a Roma sia un’opportunità?
Ora lo capite - sì?! - perchè il Kaiseki a casa pretende che, varcando la soglia, tutti si tolgano le scarpe?

Scusate, ora devo proprio prendere il Valium...

venerdì 23 novembre 2012

The duchess of Kircaldy always smiling and arriving late for tea...

Non sprecherò righe preziose a giustificarmi per i mesi di vuoto pneumatico, voglio arrivare a bomba all’argomento di oggi: il Kaiseky, a un anno dalla lezione di prova minuziosamente descritta in un post, si è iscritto ad un corso di yoga. Si è iscritto e ha pagato, quindi è definitivo.
Shanti.
In realtà, ormai è quasi una cosa vecchia: pratico già da 2 mesi. Quasi. Una volta a settimana: la versione ufficiale è che a casa non posso esercitarmi perchè non ho ancora l’attrezzatura adatta (tappetino, mattoni, cuscino, cintura...) ma non appena riceverò il sostanzioso ordine da Yoga Shop Milano (perchè a quanto pare a Roma non ci sono negozi che vendano supporti per lo yoga) allora sì: vedrete che guerriero della luce divento!
La lezione si articola in un’ora di esercizi e mezz’ora di rilassamento.
Io confesso che il rilassamento alle nove di sera, con il gatto ancora sveglio e vigoroso che salta sul letto con il padre, la cena ancora da preparare e la doccia (coi capelli) ancora da fare, ecco, non me lo godo fino in fondo. Eppure, c’è gente accanto a me che si abbiocca all’istante. Cioè, tipo che il maestro non fa in tempo a dire “Ora portate la vostra attenzione all’alluce del piede sinistr...” e parte la prima russata. Al confine (ma anche oltre) con l’imbarazzo, dai: tutti lì con la copertina a dormire...vabbè ma a parte questo, devo dire che procede abbastanza bene. Riesco perfino a gestire la mia irritante propensione alla risata ad minchiam. Cioè a dire che la scorsa settimana ho ascoltato un’approfondita descrizione della respirazione Kapālabhāti, altrimenti detta del “cranio luminoso”, senza fare una piega.
Certo, Mr. P. non ce lo porto, figurati. Però bello.

Un’altra cosa rilevante è che abbiamo deciso di prendere un gatto. Non un gatto normale: un Gatto sacro di Birmania (oooooooooooooooooohhhhhhhhhhhh!).
Questa risoluzione mi ha traslato nello scintillante universo delle gattare romane: un mondo parallelo, dalle dinamiche peculiari, caratterizzato da un proprio linguaggio tecnico, proprie convenzioni ed unici, felini equilibri. Il gatto, lungamente cercato e infine individuato in quel della Bufalotta, ci verrà consegnato a Natale (attualmente è ancora piccolo) e poi Dio provvede.
Ovviamente i miei (sì, lo so è una follia) non sono ancora stati informati.
So di essere una donna adulta, con una casa ed una famiglia sua ma non ho mai del tutto superato il trauma delle 2 volte che provai a prendere un micio e i miei genitori me lo fecero restituire.
La prima volta avevo 8 anni, lo presi al mare una settimana che ero rimasta con mia nonna. Ovviamente il sabato ciao-ciao-gatto (la quale bestiola però riuscì ugualmente, in 2 giorni di vicinanza, ad attaccarmi la tigna: ebbene sì, non chiedetemi come ma soprattutto, non chiedetemi cos’è!). La seconda volta avevo 21 anni malo stesso, non ci fu verso di tenerlo.

(Pensiero laterale: questa cosa della tigna me l’ero dimenticata...no perchè non fu una cosa allegra mandarla via...vabbè, adesso pensiamo al bello del micio Momiji-Piumino)

Altro argomento: una volta tanto, qualcosa di giapponese. Ultimamente mi è venuta questa voglia di cucinare cose non solo buone ma divertenti per lo shogun e ho scoperto il kiara ben* che sarebbe un bento decorato, dentro cui il cibo viene plasmato per assumere forme graziose di animaletti o personaggi dei cartoni. Per chi fosse interessanto all’etimologia della parola, sappia che kyara ben è la forma contratta della parola kyarakutaa (personaggio) bentou. Cmq, ho fatto un giretto su internet e ho trovato un sacco di siti che insegnano a prepararne e - accanto a proposte proibitive che richiedono l’ausilio di strumentazioni degne della NASA - ci sono anche cose fattibili.
Vi metto qualche link, se vi va, provate e mandatemi le foto: appena mi esce un bento decoroso, pubblicherò anch’io i miei risultati.

Per ora basta, ascoltate la canzone del titolo, mi raccomando!

Links:
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* grazie al blog Dal Giappone!
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