A belly full of wine - Romanzo

venerdì 27 luglio 2012

Jonathan Livingston si è trasferito sul Lungotevere

L’argomento di oggi sono i rumori della città.
Sembra il titolo di un tema delle medie ma non saprei come altro introdurli. Un po’ come quando dico a mia madre che non voglio che lo Shogun mangi i pop-corn (e vi assicuro che sono forte di una serie di motivazioni altamente logiche, non professo alcun fanatismo alimentare) e lei mi chiede “Ma perché hai sempre questo tono da maestrina?!”. Al che io mi scuso ma le rispondo che non so come altro dirglielo - appunto. Uno dei grandi problemi della politically correct society è che, laddove i contorni dell’autorità appaiono sfumati e indefinibili (tipo nel contest genitori/nonni che, non ci raccontiamo storie, in Italia soprattutto evidenzia confini - direi - ineffabili) se uno dà un input (input è il termine accettabile ma poco incisivo, per capirci fino in fondo, bisognerebbe dire direttiva, istruzione, comanda...) l’interlocutore, tendenzialmente, si risente. 
E se proprio non si risente, comunque si stranisce. 

Il fatto è che non c’è un modo più soft di dire “Guarda, il gatto i pop-corn non li deve mangiare”. O almeno credo: non lo so, sono aperta ai consigli. Cmq, sto andando fuori tema, l’argomento di oggi sono i decibel di Roma. Ridefiniamo quindi il campo escludendo il suono dei ruscelli scroscianti, della musica nell’aria, del grido delle aquile ed includendo una serie di sonorità meno, diciamo così, new age.

Volendo essere brutali, buttiamoci sul punto elenco e diciamo che oggi si parla dei seguenti rumori ricorrenti:

  1. Le sirene delle auto blu: perché Roma - manco Itaca - è la città delle sirene. Forse ci batte Napoli dove anni fa un’amica mi disse che nei quartieri spagnoli le vendevano per piazzarle sul tettino e passare nella corsia preferenziale. Ma non frequento molto Napoli quindi non ci giurerei. A Roma, ve lo posso assicurare, si incontrano quotidianamente una profusione di auto che procedono a sirena: spiegata o singhiozzante, scegliete voi. Sono ovviamente escluse dalla mia requisitoria le sirene dei mezzi sanitari: mi riferisco solo alle sirene delle auto. Politici, diplomatici, imprenditori, riccastri di varia natura o personalità, insomma, chiunque disponga di un’auto coi vetri oscurati, una sirena sul tettino e - ma non è preclusivo - di una scorta più o meno numerosa: quelli. Per costoro non esistono i semafori, non esistono gli incroci, per costoro, può capitare che non esistano i sensi di marcia. Non esistono i limiti di velocità, non esistono le strisce pedonali e, a volte, non esistono nemmeno le altre auto/motorini. Belli tronfi e di frettissima o arrivano con la sirena a cannone, tipo Sandra Bullock in Speed, o accendono la sirena solo quando devono passare col giallo/rosso, quando devono ignorare la precedenza, devono parcheggiare un po’ come gli pare (in quel caso la sirena è spenta ma sta cmq lì ad emanare il suo alone di intangibilità).

  1. Il camion della spazzatura alle 5 di mattina: perché il Kaiseki abita in un palazzo che fa angolo tra due strade e in entrambe le strade ci sono 4 cassonetti dell’immondizia. 4+4=8 e - non per scendere in particolarismi inutili ma solo per farvi capire - entrambe le vie sono sensi unici, il che implica che i cassonetti NON SOLO non vengano svuotati nello stesso momento (perché le varie raccolte si effettuano con vari automezzi) ma non vengano svuotati NEMMENO durante lo stesso turno. Cioè il camion che raccoglie l’umido nella via x, non è lo stesso che lo raccoglie nella via y, no: si tratta di 2 camion che passano ad intervalli di - non lo so - diciamo mezz’ora? (all'alba la percezione del tempo è sfocata come i confini delle autorità parentali). Questo per dire che fanno un gran casino, all’alba. E voi sbotterete “meglio che la spazzatura la raccolgano, no?! ti stai sempre a lamentare!”. Certo che è meglio! Ma io con questo blog risparmio centinaia di euro di psicologo, quindi me sfogo quanto mi pare!
 
  1. I clacson (ma questa è facile, vado rapida): a Roma, se non suoni il clacson sei uno stronzo e uno sfigato (perdonate i francesismi). O per lo meno, io in più di 30 anni, l’ho capita così. Ora, la storia del clacson suonato un po’ ad minchiam, finché non ti trovi a portare a spasso un pupo con le coliche che dorme in carrozzina, è una cosa che i romani non li disturba nemmeno troppo. Diciamo che, avendo i clacson nelle orecchie fin dalla più tenera età, abbiamo imparato ad ignorarli (un po’ come una mia amica che ha da anni un fischio nell’orecchio - che si chiama acufene, ve lo scrivo così poi non dite che questo blog non è istruttivo - e ora, se non si concentra, non lo sente neanche). C’è pure da dire che a Roma ci sono un milione di motivi per suonare - perchè i dementi li bocciano a tutti gli esami tranne che a quello per la patente - però veramente io penso che...boh, forse a Shanghai c’era più casino per strada ma c'è da considerare che in Cina, per guidare, non serve la patente.   

  1. Le grida dei gabbiani*: d’accordo, questo potrebbe essere classificato come suono ameno. Se qualcuno di voi vedeva Hello Spank, ricorda che a fine puntata Aika si ritrovava sempre, fronte oceano, a pensare a Rei e al padre...insomma una cosa romantica. E infatti, queste grida sono piacevoli. Il punto è che a Roma non c’è il mare, però di gabbiani è pieno. Ma pieno pieno e, negli ultimi anni sono pure aumentati.
Quindi l’altra sera cenavamo in terrazzo ed era un tripudio di “Aaaaah-aaaaaah!” e voli radenti tanto che lo Shogun - che è in piena traversata della fase “e perché?” - ha cominciato:
“E perché questi uccelli volano?”
“Perché rientra nei loro obblighi contrattuali” (non scherzo, ormai siamo in gara: la risposta deve superare l’assurdità della domanda. Sennò è da lexotan!)
“E perché i piccioni fanno questo rumore che urlano?”
“Perché non sono piccioni, sono gabbiani”
“E perché volano proprio qui?”
“Perché abitiamo al mare, sei contento di abitare al mare?”
Lui mi guarda, ci pensa e fa.
“Dopo cena voglio andare a Ital Canada (stabilimento balneare sul litorale pontino dotato di giochi per bambini - nda).”

Discorso chiuso, non fa una piega.


*apro una brevissima parentesi su Yahoo answers, che ho consultato per sincerarmi che i gabbiani in effetti gridassero, e a cui voglio dedicare un post in futuro per l’enorme mole di domande sbalorditive che le persone, ed io stessa, sottopongono alla rete...vabbè, prossimamente.

martedì 24 luglio 2012

E Minosse chiese a Pasifae il test del DNA...

Estate, tempo di crisi. E quest’anno pià che mai si tratta di una crisi strisciante, lacerante.
Non avevo mai avuto l‘opportunità di riflettere (in effetti, perchè avrei dovuto?) su quanto siano cambiate le vacanze dei bambini negli ultimi 30 anni. Quando ero piccola mia madre non lavorava ed io e mio fratello ci cuccavamo 3 mesi abbondanti di mare con lei. Adesso, lo Shogun a 3 anni ha già i ritmi vacanzieri di un adulto, ovvero COMPILA IL PIANO FERIE. Il che significa che le sue vacanze sono mooolto ridimensionate: 3 settimane. Lo trovo assurdo ma non intravedo soluzioni, a meno di non rinunciare a lavorare (ok, ditemi dove firmare) scelta che, tuttavia, per quanto lusinghiera, non mi pare oggettivamente percorribile.
E quindi stiamo a Roma, a schiumare con Caronte, Minosse, Lucifero e tutto il cucuzzaro!
Amen. Almeno il we si va al mare. Coi nonni. E quindi, la scorsa domenica in spiaggia, compressa come un trancio di tonno Rio Mare, ho avuto l’oppurtunità di elaborare una serie di constatazioni legate a questo luogo di ameno refrigerio che è il litorale pontino.  
Innanzi tutto ho riflettuto su come il concetto di proprietà divenga sfuggente e nebuluso, una volta varcato il confine del lido. Facciamo l’esempio dei giocattoli. Chi non ha figli, giustamente, non può capire ma chi ne ha sa con certezza che qualunque gioco da spiaggia (che si tratti di un banale secchiello o di un ultra-appealing fucile a pompa) se abbandonato per più di - diciamo - 30 secondi, passa automaticamente nella sfera del se mi piace lo prendo, altrimenti detta il supermercato del casualmente gratuito o, ancora, la categoria del toh, guarda che culo, proprio il canotto 2 m x 3 pieno d’acqua che mi serviva. E quando tutto ciò accade, non crediate di poter cacciare impunemente l’abusivo, perchè a quel punto si possono verificare due eventualità:

  1. lo Shogun sta facendo il bagno con Mister P., non ha nessuna intenzione di uscire dall’acqua per usare l’oggetto in contenzioso ma ha visto che qualcuno l’ha preso e inizia a gridarti “Mammaaaaaaaa, il mio fucileeeeeeeeeee!”. Il problema è che, come tutti sanno, in spiaggia è gravemente scorretto togliere un giocattolo ad un bambino se - oltretutto - non devi nemmeno usarlo!
  2. lo Shogun vuole rientrare nella piscinetta e cacciare l’intruso ma il bambino in questione non collabora e la madre è dispersa. Ora, non è che tu possa sollevare di peso la creaturina e defenestrarla quando è ovvio che nella piscinetta entrano tranquillamente entrambi i pupi. E l’opzione mi piace sguazzare largo e preferisco che nessuno faccia pipì nel mio canottino sulle spiagge italiane o non è contemplata o ricade nella categoria MISANTROPO & ANTISOCIALE.

Questo per dire che non è semplice, non è per niente semplice, nemmeno in vacanza. O forse è solo il vecchio problema di gestione delle interazioni con il prossimo che si ripropone per il Kaiseki più o meno ciclicamente, come le lamentele di quelli del piano di sotto per l’acqua che scola quando piove (su questo argomento, prima o poi, scriverò un post).
Comunque, teniamo duro che siamo a fine luglio, alcuni di voi sono già a riposo (no, non intendo esodati), altri stanno per partire...bisogna tenere duro. Ad ogni modo, in generale, ricordate di essere prudenti con la fauna da spiaggia, molto prudenti.
Ed io, come Gas Gas, il topo sovrappeso di cenerentola: “Prudo, prudo, pruderò moltissimo!”

venerdì 13 luglio 2012

TsuguKaji-KOTO in concerto: finalmente un po' di Giappone in un blog giapponese!

La premessa maggiore è che lo Shogun è stato eroico, la minore è che ieri sera, finalmente, abbiamo fatto qualcosa di giapponese. E finalmente posso comunicare sul blog una notizia attinente all’impegnativo sottotitolo del blog stesso.
Questa settimana si è festeggiata a Roma l’estate giapponese, con qualche (niente di esagerato) manifestazione a tema e 3 serate di musica tradizionale all’Auditorium Parco della Musica. E noi, per ieri, avevamo preso 3 biglietti per andare ad ascoltare il duo Tsugukaji Koto: due suonatrici di Koto - appunto - alla loro prima esibizione europea.
Il Koto è uno strumento tradizionale a corde introdotto in Giappone dalla Cina nel periodo Nara (tra il 710 e il 784 d.C.), una specie di cetra molto più grande, dal suono dolce e armonioso.
Il signor Pinco Pallo, direttore artistico della manifestazione, in apertura di concerto pronuncia - tra le altre - le seguenti parole: “Il koto è la rappresentazione giapponese del drago in tutte le sue emanazioni”. Questo perchè lo strumento viene paragonato al dragone cinese e le sue varie parti riprendono il nome dalle parti del corpo del mitico animale. Quello che rimane nell’orecchio dello Shogun - ma non mi sorprendo - è la parola chiave della serata: DRAGO.
Il gatto, che - ripeto - è stato di una compostezza ed una serietà che lèvate, dando letteralmente le piste al Kaiseki e a mister P., tragicamente fulminati da un ignobile  attacco di ridarella quando le Tsugukaji hanno iniziato a cantare (da dire, in uno stile Marrabbio di KissmeLicia), ha sussurrato ad intervalli regolari di 30-40 secondi “il drago quando arriva?” oppure “dov’è il drago?” fino allo zenit di “adesso arriva il drago e se le mangia tutte e due!”. Questo, per l’intera durata del concerto.
In effetti la cosa non fa una piega: lui aspettava ‘sto drago, che però alla fine ha avuto un contrattempo e non è potuto intervenire. Era un drago italiano, gliel’abbiamo spiegata così.

Cmq, ridarella a parte (perchè se uno nasce povero di spirito, non è che si trasforma in persona illuminata improvvisamente: servono quei 2-3 minuti utili per acclimatarsi e farsi odiare dai vicini) è stato davvero bello. Lo Shogun ha dimostrato una finezza di gusti ed un aplòmb che gli sono valsi tanti sorrisi quante sono state le occhiatacce che si sono guadagnati i genitori. Avrei voluto fare un video ma era vietato, quindi vi metto il link di uno dei brani che sono stati eseguiti che è stato proprio emozionante.

Il Parco della Musica, diciamo che lo promuovo: i biglietti costavano 8 euro e quindi abbiamo assunto a cuor leggero il rischio di dover uscire prima della fine. Altri spettacoli, in genere, sono ben più cari e trovo un po’ assurdo non immaginare delle riduzioni per bambini sotto i 6 anni (non sotto i 26, come è strutturato attualmente l’italico sistema di ridotti nei teatri). Purtroppo questo discorso vale un po’ ovunque, a marzo volevamo andare a vedere il Flauto Magico (ma va?!) al Teatro dell’Opera ma il biglietto del gatto costava quasi quanto quello di un adulto, ovvero l’80% di un biglietto intero. Quindi, alla fine, una pomeridiana di domenica ci sarebbe costata circa 300 euro, nonostante lo Shogun stia in braccio tutto il tempo e quindi non usi la poltrona. Anche perchè, un bambino di 3 anni sulla poltrona è come se assistesse allo spettacolo seduto per terra al buio, nel foyer: la prospettiva del palco è la stessa. Cioè nessuna.
A questo proposito mi domando come mai qui nei teatri non distribuiscano quei cubi di rialzo per le poltrone che danno nei teatri a Londra e a New York. Direi che è un indice significativo di quanto i bambini vengano portati a teatro in Italia, rispetto al resto del mondo civilizzato. Sto facendo della polemica nonostante le premesse pacificamente giappo? Vabbè, quando ci sta ci sta e questo è pur sempre il blog del solito vecchio Kaiseki!
Cmq, questo per dire che del Flauto Magico gli abbiamo comprato il dvd.

Konnichiwaaaaaaaaaaaa ^^

venerdì 6 luglio 2012

Di come il Kaiseki illumina circa l'opportunità di praticare la ceretta sulle braccia

Lo charme è un nodo da stringere con stile
Salta subito agli occhi, credo, il titolo di questo post.

Ebbene, dopo più di un anno di titoli dedicati ai Beatles e a Paul McCartney, spesso privi di nesso apparente con il contenuto del post, ho deciso di virare per una impostazione lievemente più didascalica. Questo titolo, in effetti, è abbastanza arduo da fraintendere. 

Quindi potete decidere voi se valga la pena proseguire nella lettura o se fermarvi qui. D'altronde, la scelta di non proseguire - legittima, per carità - può dipendere da svariati motivi:
  1. siete uomini e, come la stragrande maggioranza degli uomini, il concetto di depilazione vi crea disagio. Conosco stimati professionisti disturbati anche solo dal pensiero che la propria madre si depili le gambe e ragazzi ostinatamente convinti che una donna vada dall'estetista solo per massaggi e manicure (nonostante sappiano benissimo che il 90% dell'indotto è legato all'estirpazione dell'odiato bulbo);
  2. siete bionde e - forse - di ceppo scandinavo. Siete di quelle che hanno trasparenti anche le sopracciglia, che non hanno mai comprato le pinzette e, quindi, questo post non vi riguarda;
  3. siete donne, siete more, vi depilate abitualmente le gambe ma – chissà perché - siete contrarie per principio al concetto di braccio depilato. Ecco, se appartenete a questa categoria, vi chiederei di continuare a leggere perché questo post lo scrivo proprio per avere un confronto con voi.
Veniamo al nocciolo della questione: io la metropolitana la prendo poco. Ma le volte che mi capita di prenderla, è straripante. Ora, il Kaiseki non è proprio una stanga, quindi, quando viaggia su un vagone zeppo, si abbarbica come può al sostegno verticale, quello a cui si aggrappano decine e decine di mani. E spesso, specialmente se sei bassino, vedi le mani e un groviglio di braccia, senza associare immediatamente un braccio al volto del proprietario.
Ecco, voi non avete idea di quante volte il Kaiseki abbia confuso le braccia appese al sostegno, attribuendone di particolarmente villose a uomini per poi scoprire - con orrore - che appartenevano alla figuretta leggiadra di fianco all’omaccione.

Chevveldicoaffà? Una cosa scioccante, da pelle d’oca. Orrida. E per questo io voglio lanciare un appello.

Ragazze, la ceretta sulle braccia – superati i 14 anni (età in cui una ha talmente tanti problemi legati alla sfera della femminilità che, davvero, i peli sulle braccia passano in secondo piano) - rappresenta un imperativo categorico da cui non si può prescindere. E’ una delle caratteristiche che rende leggiadre, aggraziate, attraenti e self confident. E – diciamolo – è anche quella che ci distingue dalle scimmie!
No, la decolorazione non è lo stesso.
No, usare solo indumenti a maniche lunghe non è un’attenuante.
Ragazze, le braccia delle donne – come le gambe - sono più belle di quelle degli uomini perché non sono infestate di peluria: prendete il coraggio a due mani e liberate le vostre braccia da quei mostruosi villi neri: anche la vostra anima si sentirà alleggerita.

Capisco da sola che questo tema è poco in sintonia con il sottotitolo del blog ma sentivo di dover spezzare una lancia per la causa.
E ora, il dibattito è aperto e guai a voi a chi si lagna che preferiva le citazioni dei FabFour!

PS L'immagine inserita in apertura - scelta per restituire un senso di eleganza e leggiadra femminilità - è gentilmente concessa da Lo Charme è un Nodo da Stringere con Stile. Chi vòle capì...^^

lunedì 2 luglio 2012

Someone's on a mission to the lonely Lorelei...

Ecco qui, il Kaiseki è volato con la prole in Germania per il ponte.
Quale ponte? Il grandemente atteso giorno del santopatrono che anche quest'anno ci ha concesso un po' di sollievo dall'afa. Questa breve trasferta mitteleuropea ha risvegliato nel kaiseki polemiche battagliere sacrosante del tipo: ma perchè la perifieria di Bonn è tanto più accogliente del centro di Roma? 
Perchè qui non c'è un parco degno di tale nome, una strada senza cacche o sputi o cartacce, un marciapiede senza auto o motorini parcheggiati, una pista ciclabile a cui qualcuno riconosca una funzione di viabilità per ciclisti? Perchè al kaiseki deve periodicamente venire il preoccupante desiderio di abitare in un posto tipo-quello, anzichè tipo-qui? 
E non mi rispondete perchè a Roma ci sono i teatri e i cinema e puoi andare per mostre perchè, siamo onesti, una famiglia media con bimbi piccoli, quanti teatri/concerti/retrospettive visita annualmente? 
Forza, non vi vergognate: due? Tre?
Quattro, già non ci credo. A meno che non apparteniate a qualche categoria protetta di classe iperprivilegiata con bambinaia peruviana fissa. Perchè - diciamoci pure questo - quelle quattro volte che andate a teatro, vi portate i pargoli? Essù!
Quindi, la risposta che a Roma c'è tutto, non conta.
Passiamo alla fesseria numero due: a Roma esci dal lavoro e ti prendi l'aperitivo ovunque tu voglia, ci sono milioni di ristoranti e d'estate giri a mezzanotte sbracciato
Idem come sopra: una volta superata l'età della follia (e prima di affacciarsi a quella della pensione) ma quanti aperitivi dopo lavoro vi prendete? Ve lo dico io: nessuno. Perchè se lavorate a Roma e avete figli piccoli, nella migliore delle ipotesi, all'approssimarsi delle famigerate 17 (l'ora x) vi trasformate nel più becero Fantozzi per il rocambolesco rush verso la fermata dell'autobus (che sarà in ritardo), della metro (che sarà piena), del motorino (che sarà incastrato tra una minicar e uno scooterone e sopra avrà una multa per divieto di sosta e una cagata di piccione). A lavoro, nella migliore delle ipotesi, vi avranno schedato come fancazziste lavative perchè avete preso questa vergognosa abitudine di uscire in orario (a Roma c'è una prassi che va tanto di moda per cui, anche se non hai una cippenvald da fare, se esci prima delle sei e mezza/sette hai lavorato mezza giornata), nella peggiore, vi ha chiamato qualche malheureux per fissare una riunione - che ne so - dalle 5 alle 7. 
Perchè tanto che devi fa'?
E quindi, dopo aver buttato un'oretta nel traffico, sarete a casa e magari è ancora giorno perchè è estate, magari è una giornata terribilmente bella (perchè c'è di vero che a Roma abbiamo un ottimo clima) e volete portare lo Shogun da qualche parte, un posto bello...e? 
Dove andate?
Vicino casa - per forza - perchè riprendere l'auto alle 18 è da matti: si rischia di fare mezz'ora di fila per 200 metri. Il problema è che vicino casa non c'è niente. Niente di niente. Cemento di solito, se vivete in un bel posto, un parco (con cani sciolti, senzatetto, qualche accampamento di zingari, varie deiezioni e forse - ma forse - un paio di altalene decrepite e vandalizzate, prese d'assalto da un centinaio di bambini incivili e maleducati).
Non ce l'ho nè con gli zingari, nè con i bambini che ti spintonano e ti mandano a quel paese se non gli passi la palla, nè con i cani la mollano. Non necessariamente almeno. Ma perchè anche nel buco più insulso della Germania (senza offesa) ci sono giardini accoglienti, lungofiumi dove non rischi di essere accoltellato, dove puoi decidere di fare una gita in battello, un giro in bici, una scivolata su uno scivolo integro, una partita a pallone in un parco recintato e RISERVATO AI PICCOLI? Perchè i quartieri periferici a Roma assomigliano al Bronx e a Bonn la periferia è fatta di villette, giardini, viali alberati e graziosi caffè con i tavolini. Perchè gli amici da cui siamo stati (persone assolutamente normali) avevano il sabbiaio e il jumping in giardino, un cespuglio carico di lamponi e le casette per gli uccelli? 
Ora, io non lo so, la loro vita sarà terribilmente provinciale ma sinceramente non credo che il nostro gravitare intorno al quartiere/municipio, senza mettere fuori il naso se non per andare a lavoro sia tanto più entusiasmante, stimolante o di ampio respiro.
Con tutto il rispetto per i teatri che ci sono in giro.
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