A belly full of wine - Romanzo

lunedì 24 ottobre 2011

One sunny day the world was waiting for a lover…


So che forse è una situazione retorica, che non c’è niente di particolarmente scioccante nel tipo di esperienza che sto per descrivere e che a molti di voi sembrerà solo un profluvio di insulse banalità. Ma mi domando per quale  cosmico assioma ogni volta che mi imbatto in una qualunque delle conoscenze più stronze e acchittate che mi toccano in sorte da un lavoro centrarolo, io sia conciata nel modo più ridicolo e mortificante dell’intero mese a venire e di quello precedente. E – già che ci siamo - mi chiedo anche perché capiti sempre che sia io a riconoscere per strada questi fenomeni del glamour e a lanciare loro quell’occhiata di troppo che, una volta intercettata, costringe entrambe al pit stop.
La parabola si può riassumere in pochi tratti essenziali. Scena: rientro dalla pausa pranzo. Personaggi ed interpreti. Io: tacco basso, fondotinta e niente altro (già un miracolo se paragonato al resto ma dall’effetto leggermente stralunato), capello sconvolto, infagottata in giacca, cappotto e sciarpa, stivale andante (che stamattina prometteva pioggia), borsone e – orrore – bustina calzedonia con dentro gambaletti di nylon (per mia nonna, giuro!).
Lei, che già scalza mi passa una quindicina di centimetri, indossa uno strepitoso decolté blu con un bel tacco e anche un po’ di plateau, calze pesanti leggermente operate (costose!), vestito corto blu scuro con uno scollo tipo Biancaneve, cappottino coreano in tinta, apertissimo (niente sciarpa, niente scialletto, nemmeno i bottoni!), borsa firmata, compatta, da urlo. Io la guardo, naso insù, per tutti i cinque minuti di conversazione, lei per baciarmi si piega un po’ sulle ginocchia, io (per non mettermi sulle punte. E che diamine!) allungo il collo fino a rischiare la slogatura. Mentre parliamo del nulla cerco di ricordarmi perché abbia poi deciso di non depilarmi le sopracciglia, approfittando del weekend. Lei  - trucco impeccabile, capello sfilzato, parrucchierato che le sta benissimo – mi sorride cordiale.
Io la odio.
Cioè, non semplifichiamo, qui non si tratta di andare a farsi sistemare il taglio, perché la mia zazzera (troppo lunga, troppo para, troppo liscia) se spendessi quei dieci minuti in più per asciugarla come si deve e pettinarla di tanto in tanto, non sarebbe così male. Qui si tratta di coerenza e – come dire - di continuità. Si tratta di non incontrare mai queste mesdames précision il giorno che sei decente, ma di ruzzolargli contro quello in cui sei tanto cozza che non te lo spieghi. Il giorno in cui hai deciso comunque e con coscienza di metterti quelle calze rovinate, quelle che - te lo sei detta chiaramente - “le devo buttare!” ma stasera, perché che fai? Le butti pulite? E quindi, mentre abbassi lo sguardo sul suo sandalo fashion sopra la calza di Woolford, con la coda dell’occhio intravedi i tuoi piedi dentro le ballerine, col dorso cosparso dei pallini che le calze fanno sui talloni perché magari in quell’istante micidiale ti accorgi di averle pure messe al contrario! Insomma, lo schifo.
Qui il nocciolo del discorso è che, per quanto tu ti possa sforzare di essere precisa e curata (senza strafare ma – insomma! - decorosa), arriverà comunque quel giorno nel mese in cui topperai. Tu sì, lei no. E quel giorno lei ti troverà. Quindi mie care tutte, spero che voi apparteniate alla categoria delle acchittone inveterate – perché, in fondo, chissenefrega di venire infamate in un post del kaiseki se poi vi aggirate con la grazia e l’eleganza di una fashion icon, no? – e che non vi offendiate per questo piccolo sfogo. Ma magari, già che ci siete, fatevi un giro su uno di quei siti che dispensano suggerimenti su “come tagliarsi la frangia da sole” o “come si usa il piegaciglia” e lasciate il kaiseki a sproloquiare in santa pace sui vantaggi dello smalto trasparente e della terra al posto del fard: dopotutto, questo è un no-fashion blog!

venerdì 21 ottobre 2011

Half of what I say is meaningless, but I say it just to reach you...


Ci sono momenti nella vita che passano aspettando. L’attesa riempie le giornate, le settimane, senti che nell’aria c’è qualcosa, a volte intensamente. Altre volte la sensazione è un’impronta leggera sulle cose intorno che suggerisce, in qualche modo, l’opportunità di stare fermo, preparandoti al cambiamento. È uno stato complesso, non del tutto negativo ma che in un certo senso spinge a rimandare l’azione, a procrastinare le scelte. Semplicemente aspetti, con la convinzione, confusa e netta al contempo, che qualcosa sia già in movimento per te.
Sono momenti che sembrano allungarsi come spirali di miele in un bicchiere di latte, scivolano sul fondo prima di sciogliersi del tutto lasciando di sé soltanto un sapore. Non so se dolce. Si dimenticano in fretta quando tutto torna a regime, quando gli ingranaggi riprendono a girare producendo il consueto frastuono.
Ultimamente, quando sono troppo pigra per fare qualcosa e mi dico prima o poi  mi sorprendo a pensare che questo poi nel frattempo stia scorrendo. Cioè, non è più come qualche anno fa, quando mi dicevo cose tipo “prima o poi compro dei pigiami decenti, femminili...di classe!” mentre mi infilavo la maxi felpa coi pinguini. Ecco, in quel caso il prima o poi immaginavo significasse quando sarò una donna sofisticata, sopra la trentina, con una carriera…Dunque, i 30 diciamo che sono un vago ricordo, nel frattempo mi sono pure sposata (quindi c’è qualcuno che gioisce della quotidiana opportunità di ammirare i pinguini), sulla carriera stendiamo un velo, eppure ancora non sono riuscita a dotarmi di pigiami decorosi. Lo so, sto trascinando questo post verso l’assurdo: cosa ci vorrà mai a comprare un pigiama? Capiamoci: non è del pigiama che voglio parlare, è dell’idea di me che ho e che, mi sono accorta, tende a risultare sempre più – come dire – indefinitamente prospettica.

Allora, il punto è forse che non c’è un traguardo da superare per poter dire “ok, da qui in poi ci sono”? O forse che – e qui cito - una è tanto più vera quanto più si avvicina all’idea che ha di se stessa e allora se io voglio essere autenticamente me allora devo comprare dei pigiami eleganti? Sto di nuovo confondendo le acque. Quello che un po’ mi rode è il pensiero di non stare utilizzando il tempo opportuno (cioè questo) per fare le cose opportune per questo tempo. È come vivere a salti, tra il passato e il futuro, trascurando il presente.
Oddio, sono matta. Ma le penso solo io queste cose? Non avete mai la sensazione che l’oggi sfugga, risulti meno pregno, meno netto: sfumato tra il ricordo di ieri e l’idea di domani?

Bah, diciamo che oggi il kaiseki ha farneticato. Poco male, però, perché il kaiseki dimentica in fretta queste stravaganti parentesi. Però, una volta tanto, datele retta e ascoltate la traccia che parte dal titolo, 'cause I say it just to reach you!

giovedì 13 ottobre 2011

Dancing queen...


Chi di voi sa che le uova di lompo sono un succedaneo del caviale?

In pochi – spero – io stessa mi sono imbattuta in tale curioso sottotitolo quell’unica volta che comprai al supermercato una scatolina che sembrava in tutto e per tutto caviale ma che costava pochissimo. Quando arrivai a casa scoprii l’arcano: erano uova di lompo. E il lompo deve essere un succedaneo dello storione, visto che le loro uova sono intercambiabili.

Altra questione: il kaiseki ha studiato Economia e Commercio (e se vede! fischi e buuuuu!), bene una delle prime nozioni assimilate nel corso delle illuminanti lezioni di Economia Aziendale fu proprio quella di bene succedaneo che, in poche parole, è un prodotto che si può sostituire ad un altro senza troppi drammi, pur non replicandone in tutto e per tutto le caratteristiche.
Ora, perché questo assurdo cappello? Per introdurre – cari miei – un tema particolarmente scottante: il multiforme – ahimè inespresso –talento del kaiseki.

Perché non ne parli con l’analista? Azzarderà qualcuno.
È ovvio: perché ho un blog e un blog è il luogo virtuale istituzionalmente deputato alle farneticazioni ego-centrate.
E quindi, vi dicevo…

Fin da quando ero piccola ho desiderato cimentarmi in attività che i miei genitori hanno, di volta in volta, elaborato sommariamente, reinterpretato indiscriminatamente e restituitomi sotto forme – come dire – lievemente ripensate.
Vi faccio qualche esempio: “Vorrei suonare il violino”. Per la prima comunione ho ricevuto un pianoforte. “Vorrei fare equitazione”. Sono stata iscritta a ginnastica posturale, pattinaggio, nuoto, karate, tennis, pallavolo, ginnastica artistica (che non mi sarebbe neanche dispiaciuta se – come tutte le altre bambine – avessi avuto il body fucsia della scuola, anziché uno verde mela che mia madre rimediò non so dove. Con sotto fuseaux coordinati: a 10 anni sono cose che ti segnano) ma – per dirla spiccia - de cavalli manco la puzza. “Vorrei fare danza classica”. Silenzio. “Vorrei fare danza classica”. Silenzio rinnovato. “Vorrei far…” “Ah kaise’, datte una regolata!”
Ma io ero nata, secondo me, per diventare una ballerina: avevo tutto, la grazia, la musicalità, la struttura…aò, non c’è stato verso. E questa cosa, in particolare, non mi è mai andata giù.

Ora, qualche giorno fa una mia amica mi ha segnalato l’apertura PROPRIO DIETRO CASA di una scuola di danza (quando uno dice il destino!). Lei me lo ha detto perché è la mamma di una grande amica dello Shōgun e l’ha iscritta ad un corso di baby ballo (o qualcosa di simile). Manco ve lo dico, mi precipito sul sito per prenotare una lezione di prova gatti. Sul sito in questione arrivo alla schermata con i menu a tendina per selezionare età/genere/livello e prenotare la lezione. So che ero lì per il baby funky ma il mouse è andato da solo: Età: 33. Genere: Classica. Livello: Principiante. Email di conferma arrivata – senza una piega! – “Ciao Kaiseki, ti aspettiamo venerdì alle 19.30 per la lezione di prova. Avvisaci se hai problemi di orario, a presto, il Maestro”

Venerdì è domani, secondo voi gliela posso fa’?
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