A belly full of wine - Romanzo

venerdì 29 aprile 2011

No logo? No, grazie!

Ci sono persone che vivono il brand come una gioiosa ossessione: le vedi girare firmate dalla testa ai piedi, come una macchina da rally con molti sponsor, e non comprano niente che non sia stilisticamente tracciabile. 

Io non sono tra questi: a parte il fatto che, portando la stessa taglia da quando ho 12 anni ed essendo una che veste comodo, le marche mi scivolano addosso. Quando non mi disturbano del tutto.
Questa è la premessa necessaria al post che segue e che parla di marche...di giocattoli.
Ecco, io la polo Polo non la voglio però voglio la pianola Bontempi o la motina di marca per lo Shōgun
Non è snobismo e neanche (solo) una questione di sicurezza. E' vero: probabilmente le fanno tutt’e due in Bangladesh, e la differenza di prezzo è tutta pubblicità ma...voi l’avete mai accesa una pianola low cost? O - meglio - avete mai avuto a che fare con quei giochini rotellati e musicali (tipo moto, macchine, animaletti et alia, dotati di ruote e musica di accompagnamento)?
Trascurando il numero sconvolgente di batterie che entrano in questi ritrovati di tecnologia terzomondista (sufficienti per illuminare la strip di Las Vegas in una notte di eclissi), scoprirete che solo raramente sono dotati del tasto “Volume” e che, quando c’è, guarda caso, non funziona o non ha memoria. Spiego: inserite 12 pile e accendete la tastiera del pupo che subitamente produce un rumore assordante e metallico di fanfara a mo’ di benvenuto. Dopodichè potete optare per la sequenza dei brani in memoria, riprodotti con strumenti inconcepibili in questo periodo storico, o per un’allucinante mix autogestito dal pupo, con i più svariati e lancinanti accompagnamenti elettrici.
Evvabbè, direte, un po’ me lo immaginavo quando, invece del trenino di legno, gli ho comprato il pianoforte elettrico...Eh no, perchè quando andate a cercare il comando del volume che dovrebbe riconciliare i vostri padiglioni auricolari con il bisogno artistico di esprimersi di vostro figlio, potreste - come il Kaiseki - trovarvi a combattere non già dell’agognata rotellina dentellata ma con un bottoncino che - guarda caso - tiene a mente il livello di volume selezionato (minimo) solo fintanto che il pupo suona. 
Cioè, metti il caso che, per 12 secondi, la creatura allunghi una pausa d’espressione della partitura e al mostruoso oggetto salta la programmazione e il tastino successivo è di nuovo a cannone.
Un incubo, non scherzo, soprattutto quando usato in comunione con il microfonino che generalmente viene fornito in dotazione e che, con molta probabilità, è uno dei motivi per cui avete comprato quella pianola e non quella affianco sullo scaffale. Ecco, lo Shogun, come pure gli altri due gnomi, compagni di asilo che bazzicano casa nostra,questo microfono se lo schiaffano in bocca, arrivando a sfiorare le tonsille, e rantolano e tossiscono, producendo suoni agghiaccianti insieme ad ettolitri di bava che, naturalmente, dopo pochi minuti inizia a colare dappertutto. 

Troppi film splatter? No, tastierina no-logo.

E ai pupi piace suonare, sì, ma diciamo che quando sono molto piccoli gli piace di più ascoltare musica, per cui optano spesso per la ripetizione martellante e incoerente delle basi preregistrate che sembra di essere finiti nel mezzo di un rave party satanico.
Un consiglio (ma va?): se mai vi capiterà, non fate i radical chic del “basta che abbia i tasti, la differenza la mette la creatività di nostro figlio”. Datemi retta, cacciate quei 20 euro di più e assicuratevi un oggetto che preservi la vostra salute mentale, assieme all’orecchio musicale del nano.
Naturalmente queste sono le elucubrazioni di una madre che vede spesso le proprie convinzioni infrangersi contro il muro di pregiudizi degli altri. Se poi restringiamo la categoria “altri” a “nonni” allora posso essere anche un filo più specifica.


IL DONO DELLA PAROLA

“No, grazie, per Natale preferiremmo una lavagnetta per colorare perchè, sai, la moto a casa nostra non c’entra, abbiamo già la casetta da giardino (regalo dello zio) che troneggia in salotto tra il televisore e il divano...non se la godrebbe una moto, diciamo...”

Regalo ricevuto: un quod no-logo impossibile da assemblare e da guidare senza cappottarsi e, soprattutto, da inserire armonicamente all’interno di un appartamento medio-piccolo. (Nonno P)
“Grazie ma, sai, preferirei prendergli quelle macchinine di Imaginarium che a lui piacciono, sono molto semplici e poi volendo c’è tutta la collezione...”

Regalo ricevuto: la serie completa prodotta dalla filiera automobilistica cinese, in scala, che ha iniziato a perdere rotelle, sportelli, specchietti retrovisori (?!), scocca,  in un’inarrestabile emorragia di minuscola plastica. (Nonna K)
“Ecco, poi magari basta peluches - grazie, eh! - che tanto lui non ci gioca e abbiamo la camera invasa..”

Regali, nell’ordine: il gatto, il gatto palla, la piovra, il topo, il cane, un altro topo, il gatto persiano, il ranocchio, l’orsetto, topolino disney, pluto, il coniglio, il topo muschiato, l’armadillo, il cavallo, l’elefante palla, il cuscino leone, il cuscino gatto...(Nonna P)
“Papà, veramente guarda, niente moto dell’edicola che, già, le macchinette che ha comprato mamma seminano micropezzi a getto continuo...”

Regalo ricevuto: una minimoto cinese semovente e musicale che riproduce senza interruzione una melodia purtroppo indescrivibile in questa sede ma che se qualcuno di voi frequenta un analista/psichiatra/mediche’pazzi può chiedergliela e quello saprà sicuramente accennargli il motivetto...

E GUAI A CHI SI SCORDA DI DIRE GRAZIE!

venerdì 22 aprile 2011

She came in through the bathroom window...


...protected by a silver spoon

Oggi vorrei parlare della peculiare inclinazione che alcune persone – tipo mia madre – hanno verso la pulizia. Aspettate, messa così suona male (soprattutto per me che faccio la figura della sudicia): quello che voglio dire è che mia madre ha una passione che oserei definire sfrenata per l’ordine e l’igiene. Fin qui niente di male, lo approvo, lo condivido…però nei limiti. Soprattutto la parte sull’ordine, io tendo a viverla in maniera un filo più sporty.
E mamma non ci sta.
Quindi, quando viene a casa mia e butta un occhio in giro, guarda caso, salta fuori che – ad esempio - sui quadri c’è un dito di polvere (i quadri? Quali quadri? E…la polvere? Manco avessi le cornici del Louvre…) oppure, vado a braccio, che il filtro della lavastoviglie è grasso.
Il filtro.
Il filtro della lavastoviglie. Avanti, sto contando: alzino la mano quelli che sanno che dentro la lavastoviglie c’è un filtro che va mooooooolto oltre quel cilindro bucherellato che – di tanto in tanto – qualcuno di voi sfila e sciacqua sotto il rubinetto per sistemarsi la coscienza. Beh, cari miei, sorpresa: se vi foste presi la briga di sollevare il fondo della vostra lavastoviglie (e perché mai, poi?) avreste scoperto che è mobile e che il filtro, per l’appunto, è grosso (enòòòòòmme, come dice lo Shōgun) e che, molto probabilmente, sì: è grasso da fare schifo!

Altra cosa che turba mia madre: l’argenteria.
Quando mi sono sposata, come buona parte delle persone, feci una lista in un grande negozio. Ad un certo punto, in prossimità del fatidico giorno, ricevetti una telefonata con cui mi comunicavano che la lista di nozze era in via di esaurimento. Ecco, l’ingenua me, all’epoca, lasciò passare 2 o 3 giorni prima di richiamare ingiungendo al negozio di infilarci tutte le risottiere, formaggiere e insalatiere che avevano disponibili. Quel breve lasso temporale fu, tuttavia, sufficiente per far sì che a casa mia arrivasse un limitatissimo ma artisticamente assortito numero di pezzetti d’argento. Tre di questi, tra l’altro, sono talmente assurdi che io e Mister P., non riuscendo a spiegarcene l’utilizzo, li abbiamo affettuosamente ribattezzati IL PITALE, IL PISCIATOIO (questi in effetti si assomigliano…) e IL SANTO GRAAL. Di quest’ultimo il cosa più o meno si intuisce (un sottovaso? Un cestello da champagne? Una sputacchiera primi Ottocento?), il perché un po’ meno.
Insomma, questi 3 oggetti, più altri 3-4 piattini/svuota tasche vengono sottoposti a quel lento e puzzolente processo che è la pulizia dell’argento con una certa oculatezza. Cioè, fosse per me, mai. Ecco, mia madre proprio non ci sta:
“Perché non dai una pulita all’argento?”
“Mmmmmm?!”
“L’argento! Non lo vedo che è tutto nero?!”
Io no, non lo vedo, soprattutto perché io metto poco a fuoco il mobilio che mi circonda, figuriamoci quegli oggetti che, intenzionalmente, non tocco mai!
In ultimo: mamma ha un pallino per le mie pentole (forse perché me le ha passate tutte lei!).
Ecco alle pareti delle mie pentole – lo confesso – aderiscono, da sempre indisturbati, misteriosi aloni di calcare. Ora il punto è, a Roma - si sa - l’acqua è, per dirla in gergo da DIXAN, dura. Se io metto la pentola in lavastoviglie e quando la tiro fuori, il sugo non c’è più ma c’è l’alone di calcare, davvero credete che dovrei prendere un ramino e mettermi a sfregare finché l’acciaio non torna a brillare?! E perché mai?! È pulita!
Ebbene, ieri mia madre si avvicina, con aria cospiratoria, e mi fa “Ti ho portato qualcosa, ma lo devi tenere da conto, è una cosa fantastica…”
Voi che avreste pensato? Io ho iniziato a gasarmi. Lei, invece, tira fuori dalla borsa una scatoletta della Stanhome (se dite “E che è?!” le prendete: dove siete cresciuti per non aver mai sentito nominare la più grande azienda di detersivi porta a porta?!). Comunque, dentro la scatolina – ebbene sì - una paglietta d’acciaio! Vi ho messo una foto, così che capiate. Di fronte alla mia aria ebete, mamma afferra la paglietta, si precipita in cucina, tira fuori una  pentola e comincia a grattarla dentro producendo un rumore da svenire, tipo ultrasuoni che solo i cani sopportano…Io per non deluderla sono stata al gioco, e con la solenne promessa di usarla con il dovuto rispetto e umiltà, ho intascato la paglietta.

Ora, il post potrebbe finire qui ma non sarei onesta se non confessassi che questa mattina, non so come, mi sono ingarellata a pulire, con il mitologico oggetto, tutte le maniglie dei pensili della cucina e che ora queste brillano tanto che probabilmente non oserò più aprire gli sportelli senza prima mettere i guanti di cachemire!

Talis mater…

mercoledì 20 aprile 2011

Everybody's got something to hide…

…except for me and my monkey.


Forse è solo una mia impressione ma avete notato quanto possa essere difficile, a volte, descrivere ad un altro la propria professione? A meno che non si faccia uno di quei lavori sintetizzati con estrema chiarezza dalla parola che li rappresenta (sono medico, sono commercialista, sono spazzino…) le professioni “d’ufficio” sanno essere incomprensibilmente difficili da descrivere.
Forse è una prerogativa di certi percorsi di studio/carriera ma - un esempio su tutti - il Kaiseki ha studiato economia, senza però scendere troppo nel tecnico rispetto a nessuna materia in particolare, ecco il suo lavoro (che poi sarebbe il mio) è veramente molto complicato da capire. Fonde l’atomo dalle 9 alle 18? No, fa un lavoro, in un certo senso, vago.
“Sai, io mi occupo di ricerca…no, non sono biologa, diciamo che il tipo di ricerca che seguo verte più su tematiche istituzionali…no, non sto in politica, cioè diciamo che organizzo eventi divulgativi e…no, non SERATE, organizzo convegni!” e bla, bla. Alla fine della fiera, in genere, mi ritrovo a fissare il sopracciglio alzato dell’interlocutore che mi imbecca, con aria complice, “insomma stai nella pubblica amministrazione!”
NO!
Che poi io ho l’impressione che la formula sia sufficientemente rodata, insomma, io mi capirei…o no?
Fatto sta che – grazie a dio – ho notato che questa cosa succede anche ad altre persone e, la butto lì, secondo me anche a voi. Dite la verità, non vi è mai capitato di incontrare qualcuno che alla domanda “Che lavoro fai?” esordisse con un “Beh, è un po’ complicato da spiegare…” e via con l’interminabile parabola sui perché e sui per come delle sue otto ore quotidiane in ufficio, senza riuscire a rifilarvi niente di minimamente soddisfacente?
Ecco, questa cosa mi incuriosisce.
Poi, l’altro giorno parlavo con la mamma di un amico dello Shōgun e, non so perché, a un certo punto salta fuori l’argomento tabelline. Dovete sapere che quando ero piccola io avevo la fissa della tavola pitagorica in fondo ai quaderni: se non c’era io il quaderno non lo compravo! Cioè, non mi fraintendete: io SO le tabelline, è che le domande a bruciapelo mi hanno sempre messo in difficoltà e – diciamocelo – cosa c’è di più bruciapelante di un’interrogazione A SALTI sulle tabelline?

È un argomento che mi mette in agitazione e mi sono fatta prendere dalla foga anche questa volta, tant’è che ad un’assurda auto domanda sugli incroci più complicati (che per me sono, dalla tabellina del 6 in poi, tutti gli incroci con quelle del 7 dell’8 e del 9) ho sparato un clamoroso “7x8? Hem…hem…52!”. 

Quella mi guarda, in silenzio. Io restituisco lo sguardo, in silenzio. 

“Ecco, vedi? Che figura…proprio questo intendevo!” ridacchio.
Ovviamente, dentro di me, ho provato vergogna.
Quindi, non potendo accettare di essere una somara che non sa la tabellina del sette, ieri pomeriggio sono corsa in erboristeria a comprare eleuterococco e ginko che, a detta dell’erborista, mi aiuteranno e concentrarmi, irroreranno il mio cervello stanco e alzeranno il mio QI. Quando sono uscita dal negozio la tizia mi ha buttato lì un “Buono studio!” io volevo rientrare a spiegare che no, non devo studiare, sono già abbastanza ignorante e mi basta così, vorrei solo, nella notte magari, riuscire a memorizzare queste ultime – difficilissime – 3 tabelline…

Ma la vocina nella mia testa, quella che a volte perde la pazienza, ha ordinato “Smamma!” e mi sono dileguata.

sabato 16 aprile 2011

Digressione - Camille

Camille abita nel bagno di casa mia.
Passa la maggior parte del tempo a guardarsi nello specchio, ma non si riconosce più: è cambiata.
Fissa la superficie per delle ore senza riuscire a vedersi.
Non ha parenti e non ha amici; una volta - dice- aveva un cane.
Camille non parla mai, ma a volte fa rumore: batte con le mani contro i tubi e le pareti.
Camille è triste, ma non lo sa.
Lei si fissa nello specchio e non capisce.
E’ molto diversa, non mangia e dorme pochissimo, non esce mai e la gente si è quasi dimenticata di lei. Lei di certo si è dimenticata degli altri.
Camille non piange mai, nemmeno quando soffre.
Con me non parla, ma mi osserva spesso. Io perlopiù la ignoro, ma quando se ne sta lì ferma a  guardarmi me ne accorgo sempre.
O quasi. Camille è molto silenziosa.
Con gli altri della casa è come se non avesse rapporti e, in effetti, non so come sia finita a stare da noi: lei non ci ama.
Per lei semplicemente non esistiamo, ci ignora, fa finta di essere sola.
Lei è sola.
Non vuole nessuno, non ha bisogno di niente: non ha mai freddo, non ha mai fame, non ride mai.
Non ride più.
Camille è morta da quindici anni.
In un incidente, credo, un incidente di macchina forse. Lei non l’ha mai detto, e forse nemmeno lo sa.
A volte provo a parlarle, le chiedo cosa faccia ancora qui ma lei non mi risponde.

Ormai non le chiedo più niente e lei non deve ascoltarmi più.
Ora non abito più a casa.
Qui nell’ospedale i bagni sono tristi per i neon e Camille non verrebbe mai a guardarsi in questi specchi.
Quando nessuno mi vede provo a chiamarla e dico piano il suo nome, ma lei non c’è ed io mi rimetto a dormire. Dormo sempre qui, a casa con Camille non dormivo mai, la sua presenza mi metteva a disagio.
In qualche modo mi manca: prima quella sola era lei, adesso sono io.
Chissà se si ricorda di me.
Credo di no, lei non si ricorda mai niente. E’ come se Camille non avesse più memoria.
Un po’ ho cominciato anch’io a dimenticarmi le cose. E le persone.
Lei però me la ricordo.

Oggi sono stanca e non respiro bene, ho dormito male e mi sento oppressa.
Stamattina Camille è venuta a trovarmi., l'ho sentita ai piedi del letto quando sono venuti ad aprire la finestra.
Forse è stata con me tutta la notte.
Ora che è qui vorrei parlarle, perché non l’ho mai fatto e perché sento vicina la fine. Vorrei dirle che anch’io sono sola, ma non lo faccio perché ho paura che stavolta potrebbe volermi rispondere.

Camille domani non verrà, andrò io da lei se riuscirò a trovarla.
Domani cercherò uno specchio e fisserò stupita la mia immagine non riflessa.
Busserò alle pareti per farmi sentire da qualcuno.
Piangerò in silenzio con lacrime asciutte.
Non parlerò più. Non scriverò nemmeno.
Lotterò contro il mio non – essere e mi spegnerò lentamente dopo aver dimenticato chi sono e cos’ero.
Sarò morta, domani, senza uno scopo e senza un ricordo, inutile e triste.
E sola, dopotutto.

28 novembre 2000

mercoledì 13 aprile 2011

I am he as you are he as you are me and we are all together


Ammettiamo, in linea di massima, che questo blog non lo legga nessuno. Ammettiamo, al limite, che lo leggano in pochi e ammettiamo pure che questo sia il pensiero prevalente dell’autore.
Capita poi, che nei miei vagabondaggi mattutini da un ufficio all’altro mi imbatta in una persona che sostiene di avere inserito Kaiseki Style tra i siti preferiti. La prima reazione, chiaramente, è del tipo mi stai prendendo per il chiulo? detto un po’ alla romana, tra il divertito e l’imbruttito. Di fronte al diniego, però, ecco che arriva lo stupore, lo shock quasi, e poi l’imbarazzo. 

Non state a guardare che si tratta di qualcuno che lavora (in senso molto lato) nello stesso posto in cui lavoro io (che è una specie di holding) e risparmiatevi le riflessioni circa l’auspicabilità di condividere le mie farneticazioni in zona ufficio. Focalizzatevi sull’altro dettaglio rilevante: questa persona, che non è legata a me da vincoli familiari né da parentela di nessun grado e che, tutto sommato, non conosco nemmeno troppo intimamente, mi legge (e – soprattutto – mi rilegge) di sua sponte!
A rischio di sembrare una sempliciotta, confesso che questo è stato per me motivo di gioia gongolante per tutta la giornata. 

Proprio ieri sera, mentre con Mister P. ci abbrutivamo davanti alla replica del Grande Conijo (cosa che capita il martedì sera, quando lo Shōgun si addormenta in orario decente e noi – insieme alle altre 20 persone in Italia che seguono la serie - guardiamo quel programma sfigatissimo che parla di quattro ginnaste artistiche che si allenano in un paesino sperduto sulle montagne rocciose per partecipare alle Olimpiadi…no, eh? Ok.). Insomma, dopo il serial, non riuscendo a staccarci dall’orrido oggetto televisivo che raramente riusciamo ad accendere, ci ipnotizziamo davanti alla replica del Grande Fratello, abbandonandoci a tutto il risentimento covato e represso nei confronti del genere umano che bazzica la tele e…insomma, riflettevo tra me sulla scarsa eco delle chiacchiere che posto nel blog. Cioè, non mi fraintendete, non che mi aspettassi le ovazioni, quando ho iniziato, però insomma, mi ero fatta qualche giro su altri blog (molto di successo a quanto pare) e me li ero ritrovati con centinaia di lettori fissi…
Ecco, io, in più di un mese, ne ho racimolati 7 e mi vergogno di ammettere che uno sono io (mi sono sbagliata e non sapevo come annullare… ), un paio sono amiche intime e un altro paio sono parenti! Insomma, non credo funzioni così, ma ammetto che ancora non sono riuscita ad individuare la chiave del successo, quella che, a un certo punto, spinge le persone che si imbattono nel tuo Pensiero Del Giorno a provare il bisogno di commentare sotto: “Ahahahah, Kaiseki, mi fai morire dal ridere, mi sento proprio come te!”.
Tutt’al più potrei commentare io ma mi toccherebbe scrivere “Ahahahah, Kaiseki, mi fai morire dal ridere,  mi sento come te perché…io sono te?!”

È il caso che la smetta con l’oppio.

lunedì 11 aprile 2011

But tomorrow may rain, so I'll follow the sun

È stato un fine settimana incredibilmente bello: caldo, assolato, lo Shōgun, dopo averci fatto scontare una serie infinita di nottate in bianco e dopo essersi lagnato praticamente per tutto, senza sosta, ha ritrovato la pace interiore e sembra un altro. Io e mister P. sabato ci siamo anche concessi un'uscita mentre il gatto giocava beato con una cugina miracolosamente riconvertita in baby sitter e ieri abbiamo celebrato il trionfo della nostra vita sociale con pranzo fuori (come ospiti) e invitando a cena un amico del gatto con i genitori. La serata è stata piacevolissima e il dopocena è stato allietato dalle schitarrate andaluse di misetr P. e del suo compare (il padre della salsiccia volante – alias compagno di asilo dello Shōgun) chitarrista di professione. ‘Sta salsiccia volante, in particolare, a un certo punto si è fatto mettere dalla madre un pigiama arancione fluo e, così vestito da tigro, si è infilato nel letto del gatto per fare la nanna – pare vero! – tra miagolii di approvazione e risatine. Insomma, un idillio, anche se, come in ogni idillio che si rispetti, non ci siamo fatti mancare il sussulto che mette friccicore alla serata, perché il gatto – che di preferenza corre anziché camminare – è volato lungo andando a sbattere col capino sul mobile del televisore. È la seconda volta in meno di un mese e, su questo, apro una parentesi perché  l’argomento merita di essere approfindito.
Chi se li è inventati questi mobili bassi costituiti, in buona sostanza, di un unico lunghissimo spigolo, intervallato da sfuggenti e letali manigliette?! Se uno immaginasse che le celeberrime pareti attrezzate possono rivelarsi tanto micidiali opterebbe per un bel catafalco anni 60 con gli angoli stondati, quando s’arreda casa!
È che quando sei giovane, trendy e single il design è tutto, non vai a proiettarti in un futuro siderale, mentre pulisci le patacche di succo di frutta dal divano bianco, incarti il tavolino del salotto in uno spesso strato di gommapiuma o mentre ti scervelli per impedire al pargolo di arrampicarsi sulla base in marmo dell’Arco di Castiglioni che hai comprato a rate e ancora devi finire di pagare.
Perché, uno non se lo aspetterebbe, ma i mobili con la prole, nella migliore delle ipotesi, sono ad elevatissimo rischio di devastazione e nella peggiore sono pericolosi. Nei tavolini si sbatte, nei tappeti si inciampa, quello che per noi è ad altezza stinco (e non dite che non avete mai lanciato il parolaccione irripetibile dopo un calcio al saarinen del salotto) per i nani è ad altezza tempia e quando la casa è invasa di tutta una serie di accessori e giocattoli ingombranti, che dalla camera del gatto si propagano agli spazi comuni (senza risparmiare il pianerottolo), improvvisamente ogni dettaglio diventa insopportabilmente ingombrante.
Però quando sei giovane e trendy non ci pensi e ti accatti volentieri la coperta di opossum di tua nonna o la cassapanca piena di intarsi che mister P. si trascina dietro tipo dote, millantandone il valore affettivo ed economico (è antiquariato tedesco…!). Fai la sciolta del take it easy, non sapendo quanto ti maledirai per quei 4 angoli acuminati che lasci entrare dentro casa tua, senza colpo ferire! E ricordatevi che le librerie vanno fissate alla parete, così come le scarpiere (noi siamo stati mesi con quelle di plastica dell’ikea che crollavano nel cuore della notte facendoci venire un coccolone!), che sotto le finestre non ci va niente che ricordi anche vagamente un trampolino, perché prima o poi uno gnomo con le guance gonfie di lattino e gli occhi languidi vi guarderà e vi dirà: “Salo, io?”

giovedì 7 aprile 2011

Happiness is a warm gun


Ecco, mi capita, come capita ad alcuni, di avere un’amica che è una socialite. Una ragazza spigliata, con moltissimi contatti, una che va alle feste giuste, che frequenta gente inserita, un capitale umano di buoni sentimenti e, soprattutto, di visibilità per chi, come me, ha un blog da lanciare.
La sua pagina di facebook nella fascia oraria 13-14 è ambita come il royal enclosure ad Ascot e un suo pollicino alzato beneaugurante come la Numero Uno di zio Paperone. 
Però non è che si può stare sempre a chiedere senza mai dare. E per quanto minimo il mio contributo, non posso ignorare il fatto che la succitata amica abbia scritto un libro, che è stato anche pubblicato. Ora, accade, come nelle più micidiali commedie noir, che il libro in questione sia intitolato Figabook
Sì, avete letto bene.
Ecco, Figabook in giapponese è intraducibile.
Quindi, una volta avanzata la proposta, mi sono trovata di fronte alla necessità di gestire questa divertente impasse con la grazia e l’ironia del kaiseki (coro di buuuu! in sottofondo).

Non me la sto tirando, la situazione è la seguente: la foto della copertina, sottilmente esclicita ma comunque troppo per una che cita un certo Shōgun un po’ pelato e cicciottoso ogni 3 righe ,è impubblicabile. Il contenuto, canzonatorio quanto te pare ma essenzialmente circoscritto ad un ambito in cui questo blog non può proprio addentrarsi (e sennò mi tenevo lo pseudonimo di Luna Crescente!) non si può chiosare. I fan – chevelodicoaffà - hanno poco a che fare con il Kaiseki e con i computer rosa, i piantinari di tulipani e i we al mare con la famiglia, e costituiscono un target che se quando mi incontra non mi schifa lo fa per educazione (nei confronti della mia amica, non miei!).

È una situazione spinosa per il Kaiseki, una di quelle che richiedono un blog da aperitivo alcolico più che uno da merenda coi biscotti, al burro: non è facile passare dalle disquisizioni sui granuli omeopatici per far dormire il gatto alle vicende di una tale Patatina che nell’incipit del libro dichiara (cito) “Il pisello azzurro esiste”.
E in effetti, forse, rappresenta un passaggio di maturità che questo blog deve ancora fare, visto che al momento l’unica cosa azzurra che mi sento di commentare è la torta per il compleanno dello Shōgun. In questa fase storica, sono più propensa a descrivere nel dettaglio la disposizione dei palloncini in salotto o la lista degli invitati, le scarpe con gli occhietti che sono tanto tenere e che gli devo comprare, piuttosto che impelagarmi in un argomento che altri, ben più titolati blogger, hanno già ampiamente patrocinato.

La mia amica che, proprio perché è una socialite comprende l’animo delle persone, queste cose le sa e non si offende se il post è un po’ striminzito. D’altra parte, finché non si mette a scrivere favole per bambini, sa di poter contare sull’appoggio incondizionato del Kaiseki che, anche se non sembra, è un tipo lungimirante e, pur non essendo una socialite, quando vuole, te legge dentro pure lei…

(rinnovato ed energico coro di buuuu! in sottofondo) ^_^

lunedì 4 aprile 2011

On the road to Rishikesh, I was dreaming more or less…


E alla fine ce l’ho fatta: ho cambiato "Luna Crescente" in "Maneki Neko".
Lo so, alcuni penseranno che l’effetto della sostituzione non si rivelerà – come dire - radicale ma attenzione, io non ho mai insinuato che il problema fosse legato alla ridicolaggine dello pseudonimo Luna Crescente. Piuttosto, era quello che la mia amica bionda definisce il mood, che non mi convinceva per niente. Ovvero, il mood di Luna Crescente non si poteva proprio tradurre in giapponese. 
Con Maneki Neko già sepoffà!
Comunque, certo, non pretendo di spacciarmi per un fenomeno di rigore intellettuale, ora che sfoggio il nome di un gatto che fa ciao con la zampa, però almeno ci rido su senza vergogna. Per Luna Crescente ho passato momenti di vero imbarazzo…e per uno che ha un blog agli esordi, può diventare una condizione ricorrente.

L’altra notizia è che il weekend è stato incredibilmente bello e, da brava romana che appena esce un raggio di sole, si mette in fila sulla pontina, sono andata al mare. Il dettaglio rilevante è che, non essendo dei latifondisti, al mare siamo andati, ovviamente, a casa dei miei.
A casa dei miei con i miei.
Ora, non so se capita anche a qualcuno di voi ma, con tutto che Mister P. è un uomo di un’educazione ed una bontà d’animo estreme, con tutto che i miei genitori sono persone aperte, tolleranti e riservate e con tutto che l’amore incondizionato per lo Shōgun ci accomuna senza eccezione…ecco: capita che i fine settimana insieme possano essere un filo stressanti per la sottoscritta.
Inizia tutto più o meno in sordina, tipo che appena comunichi che sì, questo sabato pensavamo di venire al mare…mio padre mi travolge con il tetralogo delle verità sul we fuori:

  1. Se decidete di venire al mare, dovete per forza partire venerdì sera che sabato mattina per strada ci stanno le fiamme (di traffico n.d.a)
  2. Fare la Pontina per andare al Circeo è da beoti senza speranza: vai sull’Ardeatina, poi a Santa Palomba ti butti sull’Appia, poi tagli a quel bivio grosso con lo stabilimento industriale e passi sulla  fettuccia, poi fai un pezzo di Pontina ma dopo latina giri per la via dei borghi…(Mister P. che è un uomo assennato e tranquillo che cerca di prendere le quasi 2 ore di trasferimento in macchina con uno stato d’animo il più possibile orientato alla filosofia zen, si fa Roma - San Felice col tomtom impostato e conosce SOLO la pontina come strada di collegamento, non sa i nomi dei borghi e delle frazioni e non si orienta tra le migliare e i canali che attraversano l’agro pontino. Questo a mio padre non entra in testa, proprio no, e ogni volta daccapo con le spiegazioni.)
  3. Lo Shōgun parte con noi che è meglio, si evita il traffico, anzi lo facciamo uscire prima da scuola così dorme in macchina (questo provoca a Mister P. travasi di bile a getto costante che la sottoscritta sconta per tutto il finesettimana).
  4. Se pensi di venire al mare per il we me lo devi dire per tempo. Mio padre lo vuole sapere dal lunedì della settimana prima, se hai in programma di andare al Circeo e se ti mostri anche solo vagamente possibilista lui te lo chiede tutti i giorni, anche più volte al giorno, anche a tradimento (tipo che lo chiede prima a Mister P., poi lo chiede a me e se le risposte – sempre e comunque vaghe ormai per convenzione – non combaciano, fa la controtelefonata e scatena la polemica).

Capirete che le premesse non sono incoraggianti eppure io, da bravo Kaiseki, ce casco sempre, ma proprio sempre. Sarà che a me il mare piace, sarà che si tratta dei miei genitori e ne approfitto per mollare lo Shōgun a cena e organizzarmi il sabato sera con Mister P., sarà che sconto l’inconfutabile verità che se sei figlia, sei figlia, punto. Pure se l’età ti finisce in “anta”, pure se c’hai famiglia multipargolo, pure se hai l’autorità per gestire un’azienda di 100 persone (tutti requisiti che, comunque non rientrano nel mio caso), se stai con i tuoi sei figlia, quindi subisci.


E quindi partiamo e, tra alti e bassi ci godiamo comunque un week end di sole bellissimo, che fa caldo finalmente (anche se non COSI’ caldo, dopotutto, e tu sei partita con bermuda e birkenstock e la casa è umida e te congeli per quasi 2 giorni e 2 notti), che ti mangi il pescetto fresco e cammini scalza sulla sabbia (anche se poi stai sempre a raccattare sassetti da lanciare in acqua o sali e scendi 1000 volte dal pedalò abbandonato all’imbocco della spiaggia, con lo Shōgun che appena ti giri tenta un carpiato dalla punta, di testa, sul ghiaino). È PRIMAVERA, STIAMO AL MARE E STIAMO ALLA GRANDE.
Mi sono pure comprata, finalmente, quell’espadrillas che si chiamano come quella società di investigazioni private, quelle che a Roma ti vergogni a chiederle ma lì…si sa che in vacanza c’è il calo delle inibizioni!
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